In questa sezione non abbiamo l'obiettivo di affrontare gli argomenti in maniera completa, articolata ed esaustiva, tuttavia è nostra intenzione quella di richiamare brevemente l'attenzione su alcune aree di interesse per il mondo femminile.
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E’ l’interruzione di gravidanza con rimozione del feto o dell’embrione per cause naturali o indotte. Nel primo caso si parla di aborto spontaneo prima della 24° settimana. Anche i nati morti (feto morto in utero o durante il parto) sono considerati aborti. L’80% degli aborti spontanei avviene nel primo trimestre. Solo il 30%-50% dei concepimenti progredisce oltre il primo trimestre della gravidanza e questi aborti avvengono senza che la donna abbia conoscenza di essere gravida (o che la gravidanza sia rivelabile). Tra il 15% e il 30% delle gravidanze termina con un aborto spontaneo clinicamente evidente. La causa più comune di aborto spontaneo nel primo trimestre sono anomalie cromosomiche a carico dell’embrione, altre sono rappresentate da malattie vascolari autoimmuni (es. lupus eritematoso), diabete, problemi ormonali, infezioni e anomalie uterine a carico della madre, oppure traumi accidentali e stress.
Per quanto concerne l’aborto indotto sia per scelta o per motivazioni terapeutiche (scelta in seguito a conoscenza da parte dei genitori di problematiche della gravidanza o del feto). L’OMS raccomanda la possibilità, per tutte le donne, a ricorrere ad aborto legale e sicuro. L’aborto indotto può essere effettuato tramite farmaci, chirurgia, induzione al travaglio.
E’ un disordine uterino che colpisce il 10-20% delle donne in età fertile ed è caratterizzato dalla presenza di tessuto ghiandolare endometriale nel contesto del miometrio (tessuto muscolare dell’utero). Causa dolore e sanguinamento abbondante alla mestruazione, associato a spotting perimestruale. Inoltre è associato a difficoltà al concepimento con esito avverso della gravidanza. Nel 10-20% dei casi può essere associata a endometriosi, mentre in 1/3 dei casi è asintomatica, ma diagnosticabile ecograficamente.
L'adolescenza diversamente da quanto si crede non è un tema sovrapponibile a quello di pubertà. La pubertà infatti è un fenomeno biologico mentre l’adolescenza è un processo più complesso che va al di là della semplice crescita biologica, è il passaggio dallo stato sociale del bambino a quello dell'adulto. Varia per durata, qualità e significato da una civiltà all'altra e all'interno della stessa civiltà anche da un gruppo sociale all'altro. E’ necessario evidenziare che:
In questa fase l'individuo comincia a subire modifiche somatiche e psicologiche e a perdere le caratteristiche dell'infanzia. La sessualità ha raggiunto la forma alloerotica (cioè bisogno del partner); il pensiero ha maturato le forme logiche, l'egocentrismo infantile è superato. Queste nuove strutture sono però appena abbozzate; ora hanno bisogno di essere consolidate. Ciò avviene nell'arco di tempo che va, approssimativamente, da 14 ai 21 anni.
La fragilità somatica e psicologica del soggetto, in questa fase, è facilmente spiegabile se si tiene conto del lavoro per il consolidamento delle sue strutture fisico-psichiche. I ragazzi dall'età di circa 10-11 anni vanno incontro a cambiamenti che possono riguardare, oltre che l’aspetto fisico anche il gusto e carattere.
Il latte materno viene prodotto grazie all’azione di numerosi ormoni che circolano nel corpo della donna durante la gravidanza, con intense variazioni in occasione del parto e quindi della nascita del bambino. Fra i tanti ormoni che influiscono sul processo della lattazione, i due principali sono la prolattina e l’ossitocina. Dal quinto mese della gravidanza, il seno è pronto per la produzione di latte. La montata lattea compare dopo tre-cinque giorni dal parto.
E’ consigliabile non interferire i ritmi di suzione del neonato, poiché ogni lattante ha esigenze specifiche, il numero, la durata e le ore delle poppate variano in ogni singolo caso.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda ‘allattamento materno esclusivo per almeno i primi 6 mesi di vita del bambino, mantenendo il latte materno come alimento principale fino al primo anno di vita pur introducendo gradualmente cubi complementari. Inoltre, suggerisce di proseguire l’allattamento fino ai due anni e oltre, se il bambino si dimostra interessato e la mamma lo desidera.
E’ rappresentata dall’assenza totale di mestruazione. Esistono due tipi di amenorrea: primaria e secondaria.
L’amenorrea primaria riguarda tutte le donne che non hanno ancora avuto il primo ciclo mestruale al compimento del 15° anno di età.
L’amenorrea secondaria, invece, riguarda tutte le donne che hanno già avuto un ciclo mestruale regolare, frequentemente si manifesta con l’interruzione delle mestruazioni per almeno sei mesi consecutivi in una donna con ciclo regolare.
Può essere causata da:
L'adenocarcinoma endometriale o tumore del corpo dell'utero è prevalentemente una malattia dell'età postmenopausale, il cui picco di incidenza nella popolazione si registra intorno ai 60-70 anni di età.
La frequenza dell'adenocarcinoma endometriale nella popolazione femminile occidentale sta aumentando progressivamente; tale aumento è legato principalmente all'incremento della sopravvivenza generale dei soggetti di sesso femminile e alla diminuzione relativa di incidenza del carcinoma del collo dell'utero ottenuta attraversol'applicazione dei programmi di prevenzione secondaria.
Il principale fattore di rischio per lo sviluppo dell'adenocarcinoma endometriale è l'esposizione prolungata ed eccessiva ad estrogeni, estrogeni-derivati o sostanze ad azione estrogenico-simile. Da ciò si evince che i soggetti considerati a rischio per tale patologia sono le donne con menarca precoce, menopausa tardiva, nullipare, obese, i soggetti affetti da policistosi ovarica, le donne che hanno prolungato terapia sostitutiva o che hanno effettuato terapia con tamoxifene.
La principale manifestazione clinica di sospetto dell'adenocarcinoma endometriale è la presenza di un sanguinamento uterino post-menopausale.
L'adenocarcinoma endometriale è un tumore classificato a bassa aggressività perché caratterizzato da una diffusione prevalentemente per progressione attraverso le tube di falloppio verso le ovaie, attraverso lo strato muscolare uterino verso gli altri organi pelvici e verso la cervice uterina. Più rare le diffusioni metastatiche linfonodali ed ematiche ad organi lontani.
La terapia dell'adenocarcinoma endometriale è combinata chirurgica-radiante.
Sebbene non esista alcuna metodica di prevenzione dell'adenocarcinoma endometriale, spesso la diagnosi avviene a bassi stadi di invasività grazie alla precocità con cui si manifesta il sintomo del sanguinamento anomalo.
Ciò rende il tumore del corpo uterino un tumore caratterizzato da una buona sopravvivenza che si aggira intorno al 70%.
Il carcinoma della cervice uterina è nel mondo la seconda neoplasia ginecologica per frequenza nel sesso femminile. La sua incidenza varia da 25 /100.000 casi-anno nei paesi privi di programmi di prevenzione a 6-10 / 100.000 casi-anno nei paesi che al contrario, come l'Italia, applicano tali sistemi di prevenzione già da molto tempo.
Così come tutte le patologie neoplastiche il carcinoma della cervice uterina riconosce una eziologia multifattoriale; i principali fattori di rischio descritti per questa patologia sono l'elevato numero di partners, la precocità nell'inizio dell'attività sessuale, i contraccettivi orali, il fumo e tutte le condizioni di immunocompromissione come il diabete la terapia cortisonica prolungata, la sindrome dell'immunodeficienza acquisita (AIDS).
Il principale e necessario, anche se non sufficiente, fattore di rischio per carcinoma della cervice uterina è la persistenza dell'infezione cervicale da parte del Papilloma virus umano (HPV).
Esistono circa 100 tipi di HPV patogeni per l'uomo, ma tra questi, solo alcuni, denominati ad alto rischio, sono in grado di infettare il genoma delle cellule squamose dell'epitelio superficiale della cervice uterina determinandone trasformazione progressiva in senso neoplastico.
L'incidenza del carcinoma invasivo della cervice uterina ha una distribuzione bimodale, caratterizzata cioè da due picchi di frequenza massima nella popolazione con 30-40 anni o con 70-80 anni di età.
Viene classificato tra i tumori moderatamente aggressivi, perché capace di dare metastasi prevalentemente per via linfatica, ma per via ematica verso organi distanti da quelli pelvici solo negli stadi più avanzati.
Il trattamento del carcinoma invasivo della cervice uterina è chirurgico e comporta l'asportazione di tutti gli organi dell'apparato riproduttivo femminile nella loro integrità con i tessuti di sostegno pelvici, unita all'asportazione di tutte le stazioni linfonodali pelviche.
La terapia chirurgica negli stadi più avanzati può essere associata alla radioterapia e alla chemioterapia.
La sopravvivenza nei soggetti affetti da carcinoma della cervice uterina dipende prevalentemente dallo stadio al momento della diagnosi e varia dal 90/85% del I stadio al 15% del IV, nonché ultimo, stadio di malattia.
Il carcinoma della cervice uterina è uno tra i pochi tumori in cui è possibile effettuare diagnosi precoce, terapia delle lesioni non ancora invasive e conseguentemente prevenzione secondaria totale.
Tale caratteristica è dovuta al fatto che il carcinoma della cervice uterina si sviluppa in una sede che comunica con l'esterno tramite un orifizio naturale, la vagina, che è facilmente esplorabile, campionabile citologicamente (pap-test), istologicamente (biopsia mirata) e aggredibile da un punto di vista terapeutico.
I programmi di prevenzione secondaria della malattia, uniti alla nuova speranza di prevenzione portata dal vaccino anti HPV, rendono il carcinoma della cervice uterina l'unico tumore, ad oggi, la cui mortalità potrebbe essere totalmente prevenibile.
Le più importanti cause di infertilità femminile sono rappresentate dalle disfunzioni ormonali della follicologenesi e dell'ovulazione; da affezioni a carico delle tube (anatomiche e funzionali); da malformazioni uterine. Le disfunzioni ormonali impediscono l'ovulazione e più raramente il deficit ormonale riguarda la fase luteale o progestinica del ciclo mestruale. Le cause di deficit ormonali possono essere congenite, da stress o dovute dalla sindrome dell'ovaio policistico.
Altre cause di infertilità sono rappresentate dalle infezioni pelviche acute o croniche, come quelle determinate dalla Chlamydia che, se non corrette in tempo con opportuna terapia, possono comportare serie conseguenze sull'apparato riproduttivo femminile.
Le anomalie cromosomiche, le malformazioni uterine, l'incompetenza della cervice uterina, gli squilibri ormonali ed i disturbi immunologici sono considerati fra le cause più frequenti di aborto ricorrente che, a sua volta, rientra nelle cause di infertilità.
L'infertilità maschile può essere causata da difetti relativi alla produzione, emissione o funzionalità degli spermatozoi e rappresenta circa il 35% delle cause di infertilità nella coppia.
È molto importante raccogliere un'anamnesi (cioè la storia medica) del paziente molto accurata in cui si indagherà su eventuali infezioni genito-urinarie pregresse o in atto; malattie come la varicella, morbillo o parotite (malattia virale che può provocare nell'uomo l'orchite, cioè l'infezione a livello dei testicoli); malattie a trasmissione sessuale; precedenti interventi chirurgici o traumi a livello genitale. Anche lo stile di vita (alcool, fumo, droghe e lavori a rischio) e fattori ambientali, possono giocare un ruolo importante.
Il varicocele può determinare un deficit nella formazione di spermatozoi mobili. Anche dosaggi alterati di FSH, LH, PRL (prolattina) e T (testosterone) possono influire sul processo di produzione degli spermatozoi.
Nel settore andrologico è necessario un adeguato supporto laboratoristico per giungere ad un corretto inquadramento nosologico, prognostico e terapeutico del paziente. L'infertilità maschile infatti, può essere legata all'alterazione di uno o più parametri del liquido seminale (dispermie). Lo spermiogramma (cioè l'analisi del liquido seminale) diventa uno strumento diagnostico fondamentale, necessario anche per stabilire il trattamento terapeutico più appropriato.
Le vulvo-vaginiti infettive sono caratterizzate da un insieme di sintomi: generalmente uretrite con disuria, eritema vulvovaginale associato a prurito o bruciore, leucorrea e talvolta ulcerazioni. I principali microrganismi coinvolti nell’infezione, sono rappresentati da:
La mestruazione è la perdita di sangue proveniente dalla cavità uterina in seguito allo sfaldamento periodico dello strato superficiale dell’endometrio in seguiti ai ciclici cambiamenti ormonali che accompagnano la donna dalla pubertà alla menopausa (periodo fertile). Il ciclo mestruale ha una durata di circa 28 giorni ( 21-45 giorni nelle giovani; 21-35 nelle adulte) con una durata da i 2 a i 7 giorni; è considerato come 1° giorno, il giorno della comparsa del sanguinamento fisiologico. E’ regolato da vari ormoni che comportano la modificazione dell’endometrio che passa da una fase proliferativa (dopo la fine della mestruazione) ad una secretiva che si conclude con lo sfaldamento e la ricomparsa della mestruazione. La fase proliferativa serve per generare l’endometrio sfaldato e la secretiva crea l’ambiente ottimale per l’eventuale impianto dell’embrione, qualora non si verifichi fecondazione/impianto si va incontro allo sfaldamento di questi strati. La comparsa della prima mestruazione è definita menarca e la loro scomparsa definisce l’entrata in menopausa.
I principali ormoni coinvolti sono rappresentati dagli estrogeni (che stimolano la fase proliferativa), l’ormone luteinizzante (LH) che compare dopo il 12 giorno rilasciato dai follicoli ovarici maturi che comporta il rilascio dell’ovulo da una delle due ovaie (il rilascio è alternato in modo ciclico) e che permane per pochi giorni. Nel frattempo il tessuto del follicolo che ha rilasciato l’ovulo, all’interno dell’ovaio, comincia la produzione di progesterone e estrogeni per circa due settimane; qualora non avvenga la fecondazione, crolla la produzione di questi due ormoni e si verifica la mestruazione.
Nel processo di maturazione dell’ovulo intervengono anche altri ormoni (FSH e LH) rilasciati a livello di una ghiandola situata in prossimità del cervello.
Possono verificarsi mestruazioni anche senza ovulazione, questo avviene in alcune patologie oppure in seguito ad assunzione di anticoncezionali orali a base ormonale.
Le principali metodologie di contraccezione sono rappresentati dai metodi:
Dagli anni ’60 i contraccettivi orali sono diventati la principale forma di contraccezione al femminile, almeno nei paesi sviluppati.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce "Contraccettivi d'emergenza" "tutti quei metodi contraccettivi in grado di fornire alla donna un mezzo privo di rischio per prevenire una gravidanza indesiderata dopo un rapporto sessuale non protetto, o in caso di fallimento del metodo contraccettivo" (WHO 2005).
L'approvazione anche in Italia della "pillola del giorno dopo" non ha mancato di creare qualche confusione, anche perché la notizia è arrivata quasi contemporaneamente a un'altra, e cioè l'approvazione negli Stati Uniti della RU 486, cioè del mifepristone, che è invece una sostanza in grado di indurre l'aborto.
Le due cose non hanno niente a che vedere in quanto un conto è l'interruzione volontaria di gravidanza, un conto è la contraccezione d'emergenza, categoria nella quale rientra la pillola del giorno dopo.
Il termine indica una mestruazione dolorosa, questa situazione viene indicata come malattia qualora impedisca alla donna di svolgere le normali attività quotidiane. Si definisce una forma primitiva (per donne che non hanno mai partorito) e secondaria (nelle donne che hanno già partorito). E’ caratterizzata da dolori mestruali ed eventuali sintomi quali nausea, vomito, alterazioni dell’umore, stipsi o diarrea, cefalea, insonni, stanchezza, vertigini.
Può sottointendere condizioni patologiche quali l’endometriosi, presenza di fibromi o malformazioni congenite, infiammazioni pelviche o da patogeni sessualmente trasmessi. Pare sia coinvolto un eccessivo rilascio di prostaglandine.
Le principali problematiche in ambito ginecologico riguardanti l’età adolescenziale sono rappresentate dalle amenoree primarie, dalle alterazioni mestruali, dai disturbi del comportamento alimentare, da stati iperandrogenici e dal deficit ovarico prematuro.
E’ una malattia su base ormonale e infiammatoria che colpisce il 10% delle donne in età fertile. E’ caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale in sede anomala che va incontro a sanguinamenti con la periodicità del ciclo mestruale, provocando uno stato infiammatorio pelvico cronico che si associa a dolore pelvico nel 60% dei casi, soprattutto in fase mestruale. Tuttavia, può essere presenta una sintomatologia dolorosa anche durante i rapporti sessuali, alla minzione e all’evacuazione, assieme ad altri sintomi di tipo intestinale e urinario. Può associarsi, inoltre, ad infertilità (30-35%, aborto spontaneo ed a patologie sistemiche di tipo autoimmune, allergico e psichiatrico.
Il termine definisce quei meccanismi ereditari e non, coinvolti nelle modificazioni fenotipiche (caratteristiche manifestate da un organismo) senza alterazione diretta del genotipo (geni che compongono il DNA). Sono modificazioni ereditabili (imprinting genetico), oppure temporanee che alterano e modulano l’espressione dei geni, senza modificarne la sequenza (le alterazioni della sequenza del DNA più dannose sono definite mutazioni, si trasmettono da una cellula all’altra e non sono mai modificabili). Sono cambiamenti che possono essere indotti da particolari stimoli o in risposta a particolari stimoli e reversibili.
Studi recenti di biologia molecolare hanno dimostrato che questi meccanismi sono rappresentati da:
Rappresentano un tumore benigno dell’utero, con prevalenza variabile dal 15 al 30%. Nel 70% delle donne compaiono entro i 50 anni, e nella maggior parte dei casi sono asintomatici. Tuttavia, nel 20-50% dei casi, i associano a dolore mestruale, sanguinamento abbondante e disturbi da compressione. I sintomi dipendono dalla localizzazione e dalla dimensione del fibroma.
Con il termine gemellarità si intende una gravidanza che prevede la presenza di più di un embrione/feto/nato. L’incidenza della presenza di 2 gemelli è di 1-2% sul totale delle gravidanze, più di 2 gemelli è più rara. I gemelli monozigoti derivano da un unico uovo fecondato da un singolo spermatozoo che durante le prime fasi di divisione generano 2 masse che diventano separate ed indipendenti. I gemelli monozigoti possono condividere o no la stessa placenta (gemelli monoovulari monocoriali) o possono presentare e sviluppare ognuno una placenta distinta (gemelli monovulari bicoriali). I gemelli risultano dello stesso sesso e fortemente somiglianti nell’aspetto e possiedono lo stesso patrimonio genetico; le eventuali differenze sia fisiche che caratteriali che si possono verificare o emergere con la crescita, sono dovuti a fenomeni epigenetici.
I gemelli eterozigoti sono i più comuni ed assommano ai 2/3 di tutti i parti gemellari. In questo caso due diverse cellule uovo vengono fecondate da due diversi spermatozoi (uno spermatozoo per ogni uovo) e quindi si originano fin da subito due individui diversi che condividono l’utero materno durante la gestazione, ma che presentano caratteri genetici e conseguentemente fenotipici diversi (ed eventualmente anche sesso).
I gemelli siamesi sono gemelli monozigoti, che alla nascita presentano organi a parte di organi o tegumenti in comune. Questo è dovuto alla tardiva divisione dell’embrione nei due esseri (dopo il 13esimogiorno), le motivazioni sono ancora scientificamente ben chiare, ma si ipotizza che sia influenzato da fattori ambientali che influenzano particolari geni e pare possa avere anche una base ereditaria. L’evento è molto raro, circa 1 su 120000. Se gli organi condivisi sono importanti spesso porta a malformazioni o morte prematura.
E’ una branca della biologia che studia i geni, l’ereditarietà e la loro variabilità negli organismi viventi.
L’informazione genetica è contenuta all’interno di una molecola chiamata DNA c(acido desossiribonucleico) che presenta delle porzioni definite geni che danno origine all’RNA (acido ribonucleico) che a sua volta è utilizzato per produrre le proteine. Le proteine sono gli effetti finali e responsabili della funzionalità dell’organismo. Non tutto l’RNA prodotto serve per generare proteine, una parte ha funzione di regolazione di per sé.
Le informazioni presenti nel DNA vengono trasmesse da una generazione all’altra, nel caso di cellule che compongono il nostro corpo, da una cellula si formano due cellule figlie identiche. Nel caso della riproduzione, le cellule che generano i gameti (cellule uovo e spermatozoi) prima dimezzano la loro informazione genetica per poi fondersi e generare un nuovo individuo con informazione genetica completa.
Il DNA è infatti contenuto nel nucleo cellulare come un gomitolo srotolato, affinché i geni necessari per la vita della cellula siano facilmente utilizzabili. Al momento in cui la cellula si divide, il DNA viene organizzato in strutture compatte che vengono detti cromosomi. Ogni cellula umana presenta 23 coppie di cromosomi, ovvero 46 totali, ed escludendo il cromosoma X e Y che hanno informazioni diverse le altre 22 coppie presentano 22 informazioni simili in doppia copia: una di derivazione materna ed una paterna.
Tutti gli individui della specie umana presentano le stesse caratteristiche generali, ma che si differenziano per piccole cose (es. capelli biondi o bruni), queste informazioni sono contenute nel DNA e questa diversità è generata dalla presenza di varianti genetiche dovuti a geni che codificano proteine con funzioni simili ma leggermente diverse (per cui un soggetto avrà i capelli biondi ed uno scuri). Questa variazione è dovuta a piccole variazioni nella sequenza genetica che comportano solo differenze fenotipiche (apparenti) e non di funzionalità e sono dovute a variazioni di piccole sequenze del DNA fra un soggetto ad un altro (Polimorfismi).
Variazioni che inducono alterazioni ella funzionalità proteina (funzioni diverse o perdita di funzioni) possono essere dovute ad alterazioni della sequenza proteica che, data la loro bassa frequenza con cui si verificano e alle conseguenze spesso drammatiche, vengono definite mutazioni. Alcune mutazioni che si verificano su specifici geni sono state individuate come responsabili dell’insorgenza di gravi malattie che possono essere trasmesse dai genitori ai figli (malattie ereditarie), oppure si verificano nei tumori (solo in alcune cellule “malate”).
La durata della gravidanza nella donna è di 38-42 settimane a partire dall’ultima mestruazione, con una durata media di 208 giorni, che corrisponde a 40 settimane.
Una corretta supervisione medica della gravidanza rappresenta la premessa indispensabile per garantire la miglior tutela della salute della madre e del nascituro. L’assistenza prenatale non è solo un problema sanitario, ma anche una realtà con riflessi psicologici, sociali, culturali e politici.
Le gravidanze “ad alto rischio” rappresentano circa il 15-20% delle gravidanze. Sarà compito del personale medico, con consulti pre-concezionali e con controlli precoci e ripetuti, cercare l’identificazione dei problemi potenziali o già esistenti che possono aumentare il rischio per la madre o il feto.
Rappresenta una condizione patologica in cui l’impianto dell’embrione avviene in sedi diverse dalla cavità uterina. E’ distinta in:
E’ una condizione caratterizzata dalla perdita involontaria di urina. Questa situazione conferisce estremo disagio soprattutto da un punto di vista relazionale e sociale. Colpisce prevalentemente le donne. Probabilmente è associata alla disfunzione del pavimento pelvico più o meno correlata dai cambiamenti fisici indotti dalla gravidanza, parto e menopausa o interventi chirurgici (isterectomia, rimozione dell’utero).
L'infertilità di coppia rappresenta un problema di notevoli proporzioni. Si intende per infertilità quella condizione in cui una coppia non riesce ad avere un figlio dopo circa un anno di rapporti sessuali non protetti.
L'infertilità è un problema che affligge dal 10% al 20% delle coppie in età fertile. In Italia sono sempre più numerose le coppie che si rivolgono agli specialisti del settore per ottenere una gravidanza. Il fenomeno sembra in aumento per diversi motivi: sia perché la coppia decide di avere un figlio sempre più tardi, sia per l'influenza di alcuni fattori ambientali sfavorevoli, come l'inquinamento. L'impossibilità di avere un figlio, oltre a rappresentare un problema di carattere medico, comporta anche aspetti, non trascurabili, di ordine psicologico e comportamentale.
Le cause di infertilità possono essere di origine femminile meccanica; femminile ormonale; di origine maschile; oppure riguardanti entrambi contemporaneamente.
Infine circa il 10% delle coppie infertili è affetta da infertilità inspiegata cioè da causa non nota.
Le più importanti cause di infertilità femminile sono:
Rappresenta circa il 10% delle cause di infertilità. La si definisce tale quando, nonostante tutte le indagini diagnostiche eseguite, non si è identificata la causa della infertilità.
La cosiddetta "infertilità inspiegata" è naturalmente una delle indicazioni alla riproduzione medicalmente assistita (PMA).
L'infertilità maschile può essere causata da difetti relativi alla produzione, emissione o funzionalità degli spermatozoi e rappresenta circa il 35% delle cause di infertilità nella coppia.
Una malattia venerea (o malattia sessualmente trasmessa - MST o MTS) è una malattia infettiva il cui modo di trasmissione o diffusione è principalmente per contagio diretto in occasione di attività sessuali.
Sono in genere causate dalla trasmissione di batteri, virus, parassiti o funghi che passano da un corpo all'altro attraverso il contatto della pelle (o delle mucose genitali) o con liquidi organici infetti (in alcune malattie anche per mezzo della saliva).
Definisce il periodo di vita della donna che ha inizio dalla cessazione della ciclicità mestruale. E’ determinata dalla perdita dell’attività follicolare ovarica con riduzione della produzione di estrogeni e del progesterone, gli ormoni sessuali femminili prodotti durante l’età fertile. Insorge generalmente intorno ai 50 anni di età ed è preceduta da un periodo di alterazioni del ciclo mestruale definito climaterio che può durare da alcuni mesi fino a qualche anno. La carenza degli ormoni sessuali determina oltra alla scomparsa del ciclo mestruale, l’insorgenza di sintomi a breve termine e complicanze a lungo termine che caratterizzano la menopausa.
I sintomi a breve termine sono rappresentati dalle manifestazioni vasomotorie come la tachicardia, la sudorazione fredda, la improvvisa sensazione di caldo o il rossore al volto e la secchezza di tutte le mucose dell'organismo, compresa quella vaginale con conseguente discomfort delle pazienti durante i rapporti sessuali e maggior rischio di incontinenza urinaria e di vulvo-vaginiti infettive.
Le complicanze principali legate alla deprivazione degli ormoni sessuali femminili sono l'incremento del rischio di patologia cardiovascolare per incremento di incidenza dei principali fattori di rischio a lui collegati come ipercolesterolemia, aumento della vasocostrizione e ipertensione; incremento del rischio di patologia degenerativa del sistema nervoso centrale; aumento del turn over osseo con conseguente osteoporosi.
Le complicanze e i sintomi della menopausa possono essere prevenute attraverso la terapia ormonale sostitutiva, che può essere effettuata per una durata massima di 5 anni in quanto presenta delle controindicazioni costituite da un aumento del rischio e ad un aumento di rischio per carcinoma dell'endometrio e carcinoma della mammella.
I tumori maligni dell'ovaio sono una famiglia di neoplasie istologicamente diverse tra loro, ma tutte caratterizzate bassa incidenza nella popolazione, alta aggressività, e paucità di sintomatologia precoce.
Tali caratteristiche rendono i tumori maligni dell'ovaio la quinta neoplasia ginecologica per incidenza nella popolazione mondiale femminile, ma la prima causa di morte ginecologica.
La maggior parte dei tumori dell'ovaio sono sporadici e non associati a particolari fattori di rischio; possono svilupparsi a qualsiasi età, sebbene siano molto rari al di sotto dei 30 anni.
Esiste una familiarità per tumore ovarico che è legata alla presenza di mutazioni su un gene oncosoppresore chiamato BRCA1, gene responsabile anche della familiarità per cancro della mammella.
Il trattamento del tumore dell'ovaio è combinata chirurgico-chemioterapico.
La mortalità per tumore dell'ovaio supera il 30% già al primo stadio di malattia per raggiungere il 95% al IV. Notevoli differenze in termini di prognosi sono però da segnalare tra i diversi tipi istologici.
Data la scarsità di sintomatologia con cui la malattia si manifesta non esiste nessuna indagine clinico-strumentale utile ad una diagnosi precoce del tumore ovarico. Il ritardo diagnostico influenza le possibilità terapeutiche, il loro risultato e di conseguenza la sopravvivenza delle pazienti affette da tale patologia.
Le moderne indagini biomolecolari volte a chiarire le differenze genetiche espresse dai tumori ovarici primitivi o metastatici, chemiosensibili o resistenti rappresentano oggi l'unica speranza di una migliore comprensione dei meccanismi patogenetici di tali neoplasie, di un futuribile progresso diagnostico e terapeutico.
I tumori dell'apparato genitale riguardano i seguenti organi: utero (collo/cervice e corpo), ovaie, vulva, vagina e mammella.
E’ rappresentato dall’espulsione spontanea o dall’estrazione strumentale del feto e degli annessi fetali (placenta) dall’utero materno.
Si definisce eutocico o fisiologico se avviene spontaneamente, distocico o non fisiologico se, in seguito a complicazioni (anomalie apparato genitale materno, alterazioni contrazione uterina, malattie del nascituro), è necessario l’intervento medico.
A seconda della settimana di gestazione in cui si verifica, si definisce:
Il parto è costituito da varie fasi: prodromica (presenza di contrazioni, che variano in frequenza ed intensità da soggetto a soggetto) alla fine della quale segue il travaglio che può avvenire in modo improvviso o graduale a cui si associa la dilatazione della cervice, con durata variabile da soggetto a soggetto (5-6 in media alla prima gravidanza, inferiore nelle pluripare); in seguito alle contrazioni ed alla dilatazione completa della cervice si ha la rottura delle membrane amniotiche (rottura delle acque) a cui segue la fase espulsiva con l’uscita del feto. Alla fase espulsiva segue il secondamento con l’espulsione degli annessi fetali (placenta, cordone e membrane amniocoriali) che avviene circa dopo 30 minuti dalla nascita.
L'infezione da parte del papilloma virus umano è la più frequente patologia sessualmente trasmessa al mondo con una prevalenza nella popolazione femminile di circa 80%. L'infezione si può trasmettere anche per contatto non sessuale e degli oltre 100 tipi di virus HPV che si conoscono oggi la maggior parte causa malattie non gravi, quali ad esempio le verruche cutanee. Alcuni tipi di HPV possono tuttavia causare tumori benigni quale il condiloma genitale e anche maligni quale il cancro del collo dell'utero e del pene. I condilomi, generalmente provocate dal virus HPV, sono dell'escrescenze della pelle di tipo verrucoso che colpiscono di preferenza le zone genitali, sia nel maschio (glande, meno frequentemente sotto il prepuzio, corpo del pene e scroto) sia nella femmina (perineo, vulva, vagina e collo dell'utero).
La quasi totalità (oltre il 98%) dei tumori del collo dell'utero sono causati dall'HPV. Solo una piccola parte delle infezioni da HPV è tuttavia destinata, se non trattata, a causare un cancro. I tipi di virus del HPV umano che possono infettare le mucose genitali possono venir suddivisi in HPV a basso rischio (6, 11, 42, 43, 44) e HPV ad alto rischio (16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68). Si calcola che oltre il 70% delle donne contragga un'infezione genitale da HPV nel corso della propria vita, ma la grande maggioranza di queste infezioni è destinata a scomparire spontaneamente nel corso di pochi mesi. Solo in caso di persistenza nel tempo di infezioni di HPV ad alto rischio oncogenico è possibile, in una minoranza dei casi, lo sviluppo di un tumore maligno del collo uterino.
Il rischio di contrarre un'infezione da HPV aumenta con il numero dei partner sessuali, ed è massimo nell'età più giovanile (20-35 anni). L'uso del profilattico non pare avere azione protettiva completa in quanto l'infezione è spesso diffusa anche alla cute della vulva e perineo. Per quanto non sia dimostrata una possibilità di contagio per via diversa da quella sessuale, questa non può essere esclusa.
La placenta rappresenta un elemento funzionale essenziale per la gravidanza. E’, infatti, un organo altamente specializzato nel controllo dello scambio di ossigeno e di sostanze nutritive dalla madre al feto, ma anche capace di produrre e secernere sostanze ormonali, neuropeptidi (piccole proteine con azione sui neuroni), fattori di crescita, fattori angiogenetici (favoriscono o sviluppo die sistema sanguigno), fattori infiammatori e immunitari fondamentale per la fisiologia dell’unità feto-placentare.
Ad oggi, numerosi studi hanno dimostrato il ruolo della placenta nella storia naturale delle principali patologie ostetriche, quali parto pretermine (PPT), disordini ipertensivi della gravidanza, eclampsia e pre-eclampsia, ritardo dio crescita uterino (IUGR), morte fetale intrauterina (MIF). Tale ruolo è stato dimostrato dallo studio di marcatori (marker) placentari sia di tipo molecolare che biofisico da utilizzare nella predizione del rischio di insorgenza di patologie e nell’identificazione precoce di tali complicanze ostetriche. Inoltre, un numero crescente di evidenze supporta l’importanza dei primi 1000 gironi di vita, in termini di patologie, nutrizione, fattori ambientali, farmaci, nel contribuire alla predisposizione dell’insorgenza delle malattie in età adulta, incluse le complicanze ostetriche, mediante meccanismi di tipo epigenetico.
La pubertà è il periodo dei cambiamenti fisici che va dagli 10/11-18 anni per le femmine, e dai 12/13-21 anni per i maschi, attraverso i quali il corpo di un bambino diviene un corpo adulto capace di riprodursi con produzione autonoma degli ormoni sessuali.
Con questo processo incomincia l'attività delle ghiandole sessuali, che si manifesta nella donna con la prima mestruazione (menarca), nell'uomo con la produzione di sperma. Con queste manifestazioni si sviluppano i rispettivi apparati genitali, ed i caratteri sessuali secondari (ingrossamento del seno, virilizzazione) che portano a notevoli differenze corporee (dimensioni, forma, statura, composizione e funzione in varie strutture e sistemi del corpo) sia rispetto al periodo infantile, sia fra uomini e donne.
Con questo terminesi indica il periodo di tempo necessario all'apparato genitale femminile per riprendere la sua normale funzionalità e struttura dopo un parto. E’ definito da quel lasso di tempo che si estende, normalmente, dalle due ore dopo il parto e la ricomparsa del ciclo mestruale. Se i fenomeni si susseguono naturalmente senza alterazioni il puerperio sarà normale o fisiologico, in caso contrario sarà irregolare o patologico.
Nel puerperio rientra anche il periodo delle prime 2 ore dopo il parto che prende il nome di Post-Partum. Si tratta di un arco di tempo molto importante, in quanto le emorragie post-parto si verificano soprattutto in questo periodo. In questa fase vanno sempre controllati i parametri vitali e la perdita ematica. Per non avere una perdita ematica eccessiva, in questa fase è fondamentale che l'utero sia ben contratto; in questo modo i vasi presenti nella zona di inserzione placentare vengono "strozzati" e la fuoriuscita del sangue è impedita meccanicamente. Dopo le prime due ore dal parto sopraggiungono i normali meccanismi della coagulazione del sangue che determinano la formazione di fibrina nella zona di inserzione placentare e per questo motivo le emorragie diventano più rare.
Durante il puerperio possono sopravvenire alcuni disturbi fisiologici, a volte assai fastidiosi:
E’ una condizione in cui nelle ovaie sono presenti numerose cisti (da 2 a 5 mm di diametro), costituite da piccoli follicoli ovarici ognuno contenente un ovulo. Spesso comporta iperadroginismo (comparsa di caratteri secondari di tipologia più maschile), anovulazione con mestruazioni irregolari.
Si definisce con questo termine una complessa sintomatologia fisica e mentale che colpisce quattro donne su dieci in corrispondenza dei giorni immediatamente precedenti le mestruazioni. Viene descritto anche come disturbo disforico premestruale, che fa riferimento alle condizioni psichiche e agli stati emotivi che precedono il flusso mestruale. Si ritiene in ogni caso trattarsi di una sorta di reazione autoallergica, dovuta a un'eccessiva produzione di ormoni da parte dell'ipofisi nella fase post-ovulatoria e premestruale; essa comporta un eccessivo lavoro da parte del fegato, e il relativo stato di affaticamento.
La sindrome si può presentare con manifestazioni cliniche fisiche e psichiche.
Sintomi fisici:
Sintomi psichici
La terapia, solitamente, per la sindrome premestruale consiste nell'uso di antidolorifici e antinfiammatori a base di ibuprofene.
Esistono varie terapie per il trattamento dell’infertilità che si basano:
Le tecniche di Riproduzione Assistita più diffuse sono le seguenti:
L'adenocarcinoma endometriale o tumore del corpo dell'utero è prevalentemente una malattia dell'età postmenopausale, il cui picco di incidenza nella popolazione si registra intorno ai 60-70 anni di età; in progressivo aumento nel mondo occidentale dovuto principalmente all’incremento della lunghezza della vita ed alla diminuzione relativa di incidenza del carcinoma del collo dell’utero.
Il carcinoma della cervice uterina è nel mondo la seconda neoplasia ginecologica per frequenza nel sesso femminile nl mondo. La sua incidenza varia da 25 /100.000 casi-anno nei paesi privi di programmi di prevenzione a 6-10 / 100.000 casi-anno nei paesi che, come l'Italia, applicano sistemi di prevenzione.
L’incidenza del carcinoma (tumore) invasivo della cervice uterina ha una distribuzione bimodale, cioè caratterizzata da due picchi di frequenza massima nella popolazione con 30-40 anni o con 70-80 anni di età.
Il principale e necessario, anche se non sufficiente, fattore di rischio per carcinoma della cervice uterina è la persistenza dell'infezione cervicale da parte del Papilloma virus umano (HPV). L’infezione da parte di HPV è la patologia sessuale più frequentemente trasmessa al mondo con una frequenza nella popolazione femminile dell’80%. Alcuni tipi di HPV possono causare tumori benigni, quale il condiloma genitale e altri tumori maligni quali il cancro del collo dell’utero, del pene e dell’anno.
Il carcinoma della cervice uterina è uno tra i pochi tumori in cui è possibile effettuare diagnosi precoce, terapia delle lesioni non ancora invasive e conseguentemente prevenzione secondaria totale.
I programmi di prevenzione secondaria della malattia, uniti alla nuova speranza di prevenzione portata dal vaccino anti HPV, rendono il carcinoma della cervice uterina l'unico tumore, ad oggi, la cui mortalità potrebbe essere totalmente prevenibile. La quasi totalità (98%) dei tumori del collo dell’utero sono causati da HPV. Solo una piccola parte delle infezioni da HPV è tuttavia destinata, se non trattata, a evolvere a cancro. I tipi i HPV che possono infettare le mucose genitali possono venir suddivisi in funzione del rischio di causare lo sviluppo del tumore della cervice. Gli alti rischi sono rappresentati da HPV 16, 18, 31, 33, 35,39, 45,51,52,56,58, 59.
Il carcinoma della mammella è il tumore più frequente della popolazione femminile e rappresenta la seconda causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari, nelle donne tra i 35 e i 75 anni.
Questo tumore, eccezionale sotto i 20 anni, raro tra i 20 e i 29 anni, diviene via più frequente a partire dai 30 anni, raggiungendo i valori più alti nel periodo menopausale e post-menopausale, tra i 45 e i 60 anni, mostrando un aumento relativo con il progredire dell'età.
Il fattore di rischio comunque più importante è l'età, seguita da altri elementi costituzionali e riproduttivi (famiglie ad alto rischio, età alla menopausa, obesità in menopausa, menarca precoce, nulliparità o mancato allattamento al seno).
La diagnosi precoce del tumore permette una terapia chirurgica e medica tale da garantire una reale guarigione della malattia. La diagnosi si attua con la confluenza dei dati provenienti dall'esame clinico (palpazione), mammografia, l'ecografia ed esame citologico o istologico.
I tumori maligni dell'ovaio sono una famiglia di neoplasie istologicamente diverse tra loro, ma tutte caratterizzate bassa incidenza nella popolazione, alta aggressività, e paucità di sintomatologia precoce. Tali caratteristiche rendono i tumori maligni dell'ovaio la quinta neoplasia ginecologica per incidenza nella popolazione mondiale femminile, ma la prima causa di morte ginecologica. La mortalità, per questo tumore, supera il 30% nello stadio I e raggiunge il 95% nello stadio IV. Notevoli differenze in termini di prognosi sono però da segnalare tra i diversi tipi istologici.
La maggior parte dei tumori dell’ovaio sono sporadici e non associati a particolari fattori di rischio; possono svilupparsi a qualsiasi età, sebbene siano molto rari al di sotto dei 30 anni.
Esiste una familiarità per questo tumore legata alla presenza di mutazioni su un gene oncosoppressore chiamato BRCA1, responsabile della familiarità per il cancro alla mammella.
Il trattamento del tumore dell’ovaio è effettuato con un duplice approccio combinato di tipo chirurgico-chemioterapico.
Data la scarsità di sintomatologia con cui la malattia si manifesta non esiste nessuna indagine clinico-strumentale utile ad una diagnosi precoce e questo influenza le possibilità terapeutiche, la loro efficacia e, conseguentemente, la sopravvivenza delle pazienti.
Le vaginosi sono infezioni della vagina.
Le vaginiti sono infiammazioni della vagina, che possono essere dovute a vaginosi o ad altri fattori come l'allergia, l'irritazione o la diminuzione degli estrogeni. Le vaginiti sono molto comuni e interessano perlopiù donne in età fertile. Nel caso in cui sia interessata anche la parte esterna dei genitali femminili, si parla di vuvlovaginiti o di cerviciti in presenza di un'infiammazione della cervice.
Le cause di vaginite sono molte, si possono distinguere molti tipi diversi di vaginite.
Vaginite batterica (vaginosi)
Si definisce una vaginite batterica quando il responsabile dell’infezione è un batterio (Gardnerella vaginalis, Prevotella sp, Peptostreptococcus sp, , Mobiluncus sp, e Mycoplasma hominis), che appartiene al normale ecosistema vaginale ma può diventare patogeno in seguito ad un aumento della sua concentrazione e sostituzione dei lattobacilli presenti; altre cause frequenti sono le infezioni di organismi non presenti nella flora vaginale quali protozoi (come Trichomonas vaginalis), virus (Herpes) e lieviti (Candida albicans).
La vaginite batterica è l’infezione vaginale più diffusa tra le donne. Si tratta di una condizione caratterizzata dall'alterazione del normale ecosistema vaginale e del suo pH che viene mantenuto da batteri residenti. Dallo stato di semplice vaginosi si passa alla vaginite, in cui è prevalente lo stato infiammatorio che possono coinvolgere anche le vie urinarie. Si pensa che la vaginite batterica possa contribuire allo sviluppo della malattia infiammatoria pelvica (PID) e della sterilità da fattore tubarico.
Alcuni fattori che potrebbero contribuire allo sviluppo della vaginite batterica fra cui: molteplici partner sessuali senza uso di barriere di protezione (condom), l’utilizzo di un dispositivo intrauterino (IUD), anche conosciuto come "spirale", fumo, l’uso di tamponi interni non cambiati spesso, l’uso di liquidi antisettici, l’uso eccessivo di lavande vaginali (lavaggio e pulizia interna della vagina con acqua o altri liquidi), l’uso di deodoranti vaginali, l’uso di detersivi forti per lavare la biancheria intima.
In caso siano presenti dei sintomi, si possono notare cambiamenti nelle secrezioni vaginali che possono: diventare più acquose, assumere un colore bianco o grigiastro, emettere un forte odore simile a quello del pesce, in particolare dopo i rapporti sessuali
La vaginite è un’affezione originata da varie cause, ad esempio:
La più frequente causa di vaginite, pur non rientrando tra le vaginiti batteriche è l’infezione da Candida (lievito: Candida albicans); è l’infezione ginecologica più frequente, ma anche quella maggiormente recidivante, con il rischio di divenire ricorrente (più di quattro episodi in un anno). Può succedere facilmente che si trovi Candida associata a Trichomonas o a Escherichia coli.
La vaginite batterica può essere trattata con molti tipi diversi di antibiotici. Se seguita in maniera corretta, la terapia si rivela efficace nell’85-90% dei casi.
La vulva è l’area che circonda l’orifizio vaginale e contiene gli organi genitali esterni femminili.
L’infiammazione della vulva può essere determinata da cause molto numerose, in ragione del fatto che la vulva, data la sua posizione, partecipa sia della patologia infiammatoria cutanea, sia di quella delle vie genitali ed urinarie e risente di stimoli ormonali che possono accentuare i caratteri di alcuni processi infiammatori.
La vulvite può essere provocata da:
Nelle bambine, le infezioni vaginali possono anche interessare la vulva e possono essere causate da batteri provenienti dall’ano o da altri batteri.
La vulvite causa prurito, dolore e arrossamento. Raramente, le pieghe cutanee situate intorno all’orifizio della vagina e dell’uretra (labbra) aderiscono tra loro. La vulvite cronica può determinare la comparsa di ulcere dolenti, squamose, ispessite o biancastre.
Possono essere causate da azione termica (lavande molto calde) o meccanica (grattamento per prurito, ecc.) e da carenza di estrogeni in menopausa con un progressivo assottigliamento della cute vulvare. Gli agenti infettivi che possono essere responsabili di una vulvite sono analoghi a quelli che causano cervico-vaginiti e vaginiti quali: protozoi (Trichomonas vaginalis, il bacillo della difterite, germi comuni quali streptococchi, stafilococchi, enterococchi), lieviti (Candida albicans), gli agenti delle malattie veneree, virus (herpes simplex e zoster), scarlattina, tifo, sepsi puerperale (vulvite ulcerosa) e altri.
Per la terapia è necessario identificare i germi responsabili, e utilizzare antibiotici specifici, per via generale o locale.